Top
GIUSEPPE DEBIASI COPYRIGHT 2017. TUTTI I DIRITTI RISERVATI.

'GIUSEPPE DEBIASI: antico come la memoria umana' quasi intervista di Luigi Serravalli.

Questa iniziativa è nata con Giordano Raffaeli e la famiglia Endrici, proprietari di una antica cantina a San Michele all'Adige (TN), dove situare una Mostra fuori dal consueto, nelle stesse cantine per cui mi sono trovato a colloquiare con il vino, l'uva, le viti, le botti ed i tini, la pigiatura e tutti i processi dal grappolo alla bottiglia.
Ho compreso meglio le antiche culture mediterranee, nelle quali i lavori dei campi acquistavano un valore religioso o sacro». «Nascevano dal vino, dall'olio e dal pane, basi di una cultura, le stesse divinità e gli infiniti miti di un'epoca alla quale la nostra deve tanto». «Sono nate due serie di lavori: quelli che costituiranno la Mostra nelle Cantine Endrizzi per un autentico abbraccio con una passata enologia non ancora industrializzata o computerizzata (lavori che ho dipinto qui sul posto a San Michele) e gli altri eseguiti nel mio studio di Rovereto, che verranno esposti presso lo Studio d'Arte Raffaeli! a Trento, e la Galleria Artra di Milano, in una grossa mostra che segnerà il punto della mia attività fino a questo momento». «Due momenti simili e diversi: il primo centrato su di una cultura vitivinicola, il secondo che, invece, esprime, questa rivisitazione del paesaggio, in modo gestuale, concettuale, ricco ed attuale, anche polemico, rispetto agli accessi del poverismo».
A questo punto Debiasi, secondo me, è spinto come da un nuovo èlan vital verso un rapporto unificante che raggrumi il mistero dell'essere: energia, materia, pensiero - anche religiosamente - tese ad interpretare ansie, veleni, spine, gioie, trionfi, sconfitte di questo nostro passaggio terreno. «Periodo di grande lavoro, preso come in una febbre, quasi cento opere delle quali alcune di grandi dimensioni». «Il gioco di ambientare tutto in questa immensa cantina dove le luci daranno vita e all'ambiente e ai colori». «Intensa ginnastica, quasi acrobazia, per superare ogni giorno me stesso, sottoponendo il lavoro a continue revisioni, con scarti e cambiamenti ma sullo stesso registro». «Le parole sono sempre enfatiche perché il colore, per me, possiede maggiore forza del linguaggio. Con i colori sono a casa mia mentre nel discorso mi sembra di caricare». «Voglio dire che questa "uscita" oppure "fuga" in un certo modo dal mio passato, mi ha portato grossi tormenti e periodi di enorme entusiasmo». «Sento di andare contro corrente, vorrei che si comprendesse come il mio lavoro tende, chiaramente al concettuale, ma vuole uscire dai limiti "poveri" che il concettuale si è "imposto" per raggiungere spessori, cromie, luminosità, slanci che il concettuale si è vietato, quasi sempre». «In questo momento mi avvicino, nel mio tempo più ai coloristi che alle paleo astrattizzazioni della tavolozza nel senso povero e minimale». «Si può concettuare anche con i pigmenti più robusti ed estrosi perché l'arte resta pur sempre in simbiosi con l'essere e in questo tendo più alle molteplici armonie che ai supremismi dell'astratto francescano che mi irretivano ancora non molto tempo fa».
Mi sembra che Debiasi voglia affermare che il poverismo troppo spesso, oggi, finisce in una specie di estetismo bloccato, magari su problemi di puro colore o di squisitezza cromatica: c'è invece bisogno di non chiudersi gli occhi innanzi alle ansie della nostra epoca, anche per un sofferto e meditato senso ecologico che, in lui si arricchisce delle trascorse esperienze. «Del resto la mia tecnica non è molto mutata, solo passo da una tavolozza "povera" ad una "ricca".
Si ritrovano i miei segni vettoriali, le frecce dell'energia che percorrono il campo magnetico delle sensazioni e delle pulsioni». «Il pigmento spesso grasso, steso con generosità ma raffreddato dagli spazi bianchi. Gli accostamenti di colori che "meravigliano" (quasi in senso neo-barocco) per il coraggio e la violenza». «Là, nei quadri per la cantina, i viola fondi, i rossi che ricordano il "sangue" nei fiumi fantasiosi del kubrikiano Shining, i verdi di ogni tipo, come quelli di Rousseau il doganiere, perché vorrei recuperare una certa naivitè».
«Insomma nessun limite alla tavolozza, sia nella forza degli impasti come nel furore coloristico». «Tuttavia cerco di mantenermi esatto, disegnato, (in assoluta libertà) di riportare il colore alle sue possibilità di canto pulito e spiegato, forse un po' Rock, più come nei fauvesche nelle «selvaggerie» internazionali che spesso hanno finito con lo sporcare le tele in nome del caos delirante dell'irrazionale». «Il mio recupero è anche psicologico: la famiglia, il contatto con la natura». «Sento urgere in me queste forze, queste energie che la concettualità organizza fuori dagli schemi del passato e della tradizione perché l'invenzione resta pur sempre la base per un linguaggio concreto, attivo, stimolante». «Mi trovo come un "viaggiatore incantato" che traversa il tempo e la terra della sua stagione». Insomma anche Debiasi, come certi "fauves", dipinge «con il cuore e con le reni».
Per quanto si tenga informato è poco presenzialista. Il suo rapporto con l'arte nasce e finisce nello studio. Uscire resta una perdita di tempo, alla quale si adatta a fatica. Preferisce frugare sé stesso con l'acuto bisturi dell'autocritica. Ora avverte l'istinto di saziarsi delle bacche del suo giardino. Gli basta poco: un orologio da polso, una riserva di colori, la moto, la canoa, quindici giorni all'anno in riva ad un fiume con la famiglia, qualche cena con gli amici e poi tanto lavoro, tante tele da riempire di colori. Si è fatto una cassa speciale da portare sul "set" della sua indagine sulla Natura, in modo da poter sistemare le tele calde e fresche di colore, che poi viene sistemata in macchina carica di questi appunti.
Se dovessi avventare una profezia direi che, ora è anche quasi pronto per un recupero concettuale della figura umana. Da quando lo conosco e seguo è stata una progressione stupenda: direi che, in realtà, non può avere problemi perché quanto ha già prodotto potrebbe soddisfare il più ansioso degli artisti. Il suo espressionismo, liberato dalle ossessioni, resta pur carico delle angosce del presente ma non si nega ad improvvise schiarite esistenziali.
Una attività febbrile, mai discontinua, un riscatto del nostro mondo presente, ottenuto con lo specifico della pittura (da tanti illusoriamente trascurato) nel senso di una indiscutibile contemporaneità. Un viaggio, una esplorazione nel fantastico, una testimonianza sulla terra. Un artista che, dalla voglia di se stesso, trae la forza per abbondanti tracimazioni nei miti implosivi ed esplosivi del post-moderno.

1989, Luigi Serravalli per 'Autunno'.