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GIUSEPPE DEBIASI COPYRIGHT 2017. TUTTI I DIRITTI RISERVATI.

'figurabilità' gestuali,
gli 'animali' e 'le belle donne'.

«Gesto e colore. E all'insegna di questa duplice dimensione che si attua rincontro con il lavoro di Giuseppe Debiasi che avviene infatti all'insegna di una gestualità vibrante sostanziata da ardenti cromatismi. Osservando i suoi interventi - che spesso si dilatano su ampie dimensioni in cui il segno è libero di divincolarsi moltiplicandosi in infiniti frammenti - si rimane quasi stregati dal fremente vitalismo cromatico che li anima, da un colore pervasivo, onnipresente, che non lascia libero alcun anfratto della superfìcie dell'opera. Talvolta questo gesto-colore si apre in vere e proprie distese segniche; altrove si frastaglia in mille rivoli - pennellate nervose e frante, sgocciolature, trepidanti rincorse - oppure si raggruma attorno a un nucleo, il tema dominante.
Gesto e colore, infatti, non sono altro che momenti percettivi, ciò che vive e si libra sulla superficie dell'opera, come si scopre scorrendo lo sguardo sulla pagina aperta delle tele e delle tavole dell'artista trentino. Debiasi opera per cicli. Nel suo cammino troviamo "MITOLOGIE" e "GUERRIERI", "STORIE DI PAESE" e "ICONOGRAFIA CONTADINA", "PAESAGGI" e "NATURE MORTE" (come recitano i titoli di alcuni degli interventi realizzati nel corso degli ultimi vent'anni di attività). In quest'occasione due sono i nuclei narrativi su cui l'artista ha fissato la sua attenzione: "GLI ANIMALI" e "LE BELLE DONNE". Così, dopo il gesto e il colore, anche il soggetto acquista un rilievo certamente non secondario. Sotteso alle forme mobili dei segni impregnati di cromie esiste infatti ancora, nel mondo poetico di Debiasi, un preciso universo fenomenico, il richiamo a un mondo fatto di oggetti e persone reali.
Allora si comprende come la gestualità che anima il fare dell'artista di Ala non sia altro che una sorta di vortice disgregante che ci permette di giungere all'anima delle cose, di s percepirne l'essenza. E come se egli in tal modo sottolineasse che ciò che importa - o per lo meno ciò che a lui in primo luogo importa - non è tanto il loro apparire, quanto il loro essere. Se osserviamo i titolo di questi lavori appare con chiarezza che questo è un mondo fatto di sommessa quotidianità, di esseri che conosciamo bene e che ci sono familiari, ma è anche un orizzonte, per quanto riguarda Debiasi, di memorie non ancora lontane, di vita vissuta, di dolci ricordi.
La gestualità, dunque, lo ribadiamo, nell'opera di Debiasi non è fine a se stessa ma contribuisce a comprendere, ci fa uscire dalla superficie (e in fondo dalla superficialità) delle cose per penetrare in profondità, per metterne a nudo l'anima. È però anche il segnale di come la sua visione del mondo non sia fatta di staticità, di immote certezze, perché ogni cosa ed ogni essere sono inevitabilmente partecipi di un continuo ed irrefrenabile processo di trasformazione, di un mutamento che investe la loro parvenza ma sgorga dalla loro interiorità. Tutto scorre e tutto si trasforma, come dicevano gli antichi. E allora in questo magma incessante che è la vita l'opera sceglie spesso di farsi per emergenze: abbandonata la visione prospettica tradizionale ecco che la materia si rapprende attorno al nucleo centrale del 'racconto' visivo, solcando il limite della figurabilità. Poiché è un racconto che parla al cuore e allo spirito, procede per nascoste ed intime empatie, sfugge volutamente a troppo chiare filologie.
E le donne? Perché mai porle insieme agli animali? La donna è 'l'altra metà del cielo', come a volte si è sentito ripetere, e certo nel corso dei secoli è stata percepita in contrapposizione all'uomo come essere dominato da una natura più istintiva che razionale, da una impulsività anche incontrollabile originatasi dalla sua stessa femminilità: in fondo vicina per istinto, immediatezza, naturalità proprio al mondo degli animali. Certo, questa non può essere che un'ipotesi. Però anche le donne di Debiasi sono partecipi di una natura pittorica che più che rifarsi alle forme visibili del reale opta per una identificazione con le loro energie più profonde che fa uscire allo scoperto.
Se Pollock agli inizi degli anni Cinquanta pensò a The Deep, del 1952 era in lotta tra l'emergenza della figura umana e il desiderio di eliminarla, Debiasi in fondo ne accetta la presenza, non la rifiuta, ma al contempo ne lascia apparire solo una sagoma frantumata, la scardina per metterne in luce i dettagli che ne rappresentano gli elementi costitutivi e attraverso i quali acquista senso: succinte tracce anatomiche -qui un occhio, là dei seni oppure una bocca- od oggetti che le sono propri come calze e scarpe, per esempio, presenti nella loro stessa fisicità che aggetta dal fondo pittorico che pure le investe e quasi sembra divorarle.
La scelta di una cifra stilistica che parla al profondo più che essere preciso e minuto racconto si traduce, così, nella possibilità di sparpagliare sulla tela tracce che vanno scoperte e interpretate e che lasciano anche aperte ambivalenze nascoste. Non la certezza della rappresentazione, dunque, nell'opera di Debiasi, quanto il possibilismo stesso dell'esistenza, sempre in forse tra il bene e il male, tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.»

2000, Monica Miretti per 'Animali' e 'Le belle donne'.