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'Da Debiasi a Depero' di Maurizio Scudiero.

Come sempre accade, gli "Omaggi a..." suggeriscono, e lasciano sul fondo del barile, una serie di più o meno fondati sospetti di "facile scorciatoia", "caduta creativa", o ancora di "abile manovra commerciale", specie se questi "Omaggi" cadono, come in questo caso, in concomitanza del centenario di un artista famoso e dunque anche al centro di variegati interessi di mercato, oltre che di natura culturale. Cavalcare quel "cavallo pazzo" di Depero nell'anno della sua celebrazione sembra, a prima vista, una ben orchestrata ricerca di notorietà. I sospetti, si sa, sono sempre i primi a far capolino nelle menti contorte. Spesso, anzi, i sospetti, la cosiddetta "dietrologia", chiudono "a priori" la possibilità di una serena lettura del progetto complessivo, come pure delle opere dell'artista.
E questo accade in maggior misura specie se l'artista pur conservando nelle linee generali la sua impronta distintiva (ovvero quella sua "manualità operativa, segnica e gestuale") si piega volontariamente ad iconografie per lui aliene.
E infatti, chi lo potrebbe immaginare, vedendo questi lavori in "omaggio" a Depero, che Debiasi è stato allievo di Vedova? Il che ci porta ad una seconda domanda, e cioè che ne è rimasto del Debiasi che giusto dieci anni fa ci aveva aggredito, e quasi annullato, con i suoi drammatici, crudi, e neri "Portali"? Già in precedenza, sia Flaminio Gualdoni che Giorgio Mascherpa avevano sottolineato l'abile uso della lezione vedoviana, da parte di Debiasi, un uso "introflesso" caratterizzato da un'originale formula che metteva in rapporto le tipologie informalgestuali di vedoviana ascendenza con quell'approccio antropologico del lungo ciclo delle quasi monocrome "Storie di paese" che il Debiasi ha portato avanti per anni e che è quindi sfociato nella violenta, ma allegra, esplosione cromatica dei lavori dell'ultimo triennio.
Sempre e comunque lungo un preciso filo conduttore: misurarsi con la civiltà contadina, con i suoi valori secolari, semplici, con la sua spontanea e giocosa naiveté. In sostanza, la ricerca, a volte nostalgica, a volte romantica, a volte malinconica, di quella innocente ed incontaminata "anima contadina", anima non corrotta dalle illusorie e travianti promesse del Moderno: anima di fanciullo perché quella manualità contadina, quel "contatto" rituale e ripetuto giornalmente con gli strumenti, spesso lignei, del lavoro, suscita in noi "cittadini" un'onirica nostalgia per ritmi ed esperienze che appartengono alla nostra fanciullezza e, di rimando, a quella manualità che è tipica del gioco.
"Il giocattolo futurista - scrivevano Balla e Depero nel marzo del 1915 - sarà utilissimo anche all'adulto, poiché lo manterrà giovane, agile, festante, disinvolto, pronto a tutto, instancabile, istintivo e intuitivo". Ecco dunque l'esatta dimensione del lavoro di Debiasi nei confronti di quello di Depero: una riletturagioco, un'esercizio ludico, nel puro spirito deperiano della parodia, del gesto eclatante, della grande boutade, del sensazionalismo esagerato e a volte grottesco.
Così Debiasi, una volta individuate una serie di opere ritenute significative della miglior produzione di Depero, le rielabora, accentuandone i segni distintivi, esagerandone volutamente l'impatto cromatico, assecondandone le pulsioni plastiche (e di qui nascono le "solidificazioni" di porzioni di opere che si "gettano fuori" dal quadro). In questo modo egli riesce a dinamizzare la staticissima geometria compositiva del futurista con una sarabanda di segni e "graffitture" gestuali che introducono un'elemento cinetico e per certi versi "velocizzano" le originali composizioni di Depero e, per altri, ne mediano la sua tipica figurazione robotica o marionettistica riducendola al linguaggio più propriamente del Debiasi abituale e più conosciuto.
Dunque, dietro a Depero c'è sempre Debiasi con quel suo "segno esplorante, quel colore in avanscoperta" e quella "gioia maschile di palpare l'interno delle sostanze e di conoscere la materia nella sua intimità", come appunto Luigi Meneghelli aveva definito a suo tempo l'arte di Debiasi. Ecco, allora, che un po' alla volta siamo arrivati alla ragione ultima di 'Omaggio a Depero' di Debiasi. Una impellente necessità di conoscenza verso un artista della propria terra, un artista dalle medesime origini contadine. Ma non solo. Una sete di conoscenza legata anche alla funzione ricognitiva di un "segno", e di un "gesto modellante", che si ritrovano a voler indagare in "campiture" cromatiche chiuse, definite, e da decenni, ormai, consegnate alla tela (ed alla storiografia artistica). Azione quindi allusiva. Azione di trasposizione immaginifica e poetica dove il segno di Debiasi istiga il colore di Depero allo sconfinamento, alla rottura dei "propri bordi", al suo riversamento fuori della tela... per tuffarsi nella nostra quotidianità. Ne risulta una decontestualizzazione temporale dell'opera di Depero, che si svuota di quel suo opprimente peso critico, e si "azzera" nel segno di Debiasi che ce lo restituisce come "puro progetto mentale", pura immagine latente nella memoria ma attuale, o meglio, atemporale. Ma l'azione di Debiasi non è solo decontestualizzante, ma è pure estraniante.
Gli stessi oggetti che popolano le tele deperiane, come i bicchieri e le caraffe di vino che si rovesciano durante una "rissa futuribile", o il fascio di luce "solidificata" che avvolge manichini e robot, vengono da Debiasi "strappati" al loro contesto e da ogni riferimento visivo precedente e quindi "solidificati", "ibernati", in formecolore: autentiche opere pittoplastiche come le avrebbe definite il futurista.
Estraniati così dal loro "habitat iconografico" essi divengono "tranches di memoria Deperiana", citazioni fuggevoli che rimandano ad immagini mnemoniche generalizzanti piuttosto che a quelle specifiche da cui furono tratte. In sostanza Debiasi opera su quell'immagine latente di Depero che sta nella nostra memoria. Un'immagine indefinita e continuamente automodificante, come in un film di cartoni animati.
L'intrusione dell'artista Debiasi provoca confusione, oppure sorpresa; provoca scoperta e riscoperta; provoca ringiovanimento e nuova rilettura delle opere del futurista roveretano. E allora quale miglior omaggio per Depero che l'essere messo a confronto, ed in discussione, con il Contemporaneo. Inoltre, la sua "presenza latente" ha apportato un vitalissimo arricchimento cromatico, formale e compositivo ad un artista, Debiasi appunto, che ha cercato di affrontarlo con profondità, con un certo reverenziale spirito di apprendimento, ma anche con disincantata introspezione, e comunque riaffermando, sempre, nel "fraseggio" formale e stilistico la sua spiccata personalità.
Insomma un "Omaggio" all'insegna della gioia cromatica: quasi un "duetto" fra colleghi. Una decisa affermazione dell'ancora vitalissima arte di Depero, piuttosto che un'ingessata, stucchevole, commemorazione funeraria.

1992, Maurizio Scudiero per 'Omaggio a Depero'.