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GIUSEPPE DEBIASI COPYRIGHT 2017. TUTTI I DIRITTI RISERVATI.

'Passando per Via Vellutai'
di Valentina Anker.

Le tele di Giuseppe Debiasi ci invitano ad un incontro: quello di Ala, di un'infanzia scomparsa.
Passiamo per via Vellutai, ancora una volta: alziamo gli occhi verso i filatoi, i palazzi, le terrazze, dove, nel Settecento, si fabbricava il velluto di Ala. Poi... secoli di silenzio, di gesti, segni, mormoni e frammenti vengono alla luce come isole e affioramenti della memoria, di due mondi di paese che stanno svanendo, quello contadino e quello dei discendenti dei signori del velluto: è così che entriamo nelle tele di Debiasi.
Non si tratta di immagini nostalgiche che fissano il passato: tutt'altro. Gli squarci della memoria che egli riproduce sono materia viva, in movimento come le sinapsi dei neuroni, che costruiscono il presente, la vita. Guardiamo da vicino una tela: il fondo è quasi abolito e reso invisibile da segni di pittura nera: è lavorato con la tecnica del "collage" o dell' "assemblage" che utilizza vecchi "santini", quelli che si distribuivano nelle chiese di Ala o di Santa Margherita, o esche, antichi tranelli che insidiano ancora le trote argentate del torrente Ala.
Dei violenti gesti pittorici, neri o bianchi, ricoprono una parte degli oggetti, rendendoli appena riconoscibili. La superfìcie della tela è talvolta incavata da un pugno: non c'è più nessun illusionismo e l'artista declama l'impossibilità di recuperare la continuità intatta del passato. Il nero del subconscio invade le tele: il frammento emerge e l'assenza della totalità degli oggetti mette in movimento l'immaginazione, che ricostruisce ciò che manca. La tela è un campo di brandelli di una memoria lacerata, da cui passano e penetrano parole, energie o segni che evocano musiche, profumi e ore del mondo dell'infanzia.
Come non pensare alla "Ricerca del tempo perduto" di Proust? Il passato: prendiamo la libertà di evocarlo, risaliamo il corso della nostra immaginazione, camminiamo nelle vecchie strade.
Mormorii di passanti: sui ciotoli, cigolii stridenti delle slitte che trasportano il "far let" (la lettiera) per le stalle, i timbri gioiosi degli strumenti della Banda, i passi felpati nelle chiese, rumorio di scarponi chiodati e di tacchi a spillo e, improvvisamente, queste apparizioni scompaiono dietro i vecchi portoni. E poi, silenzio, e nessuno: il vuoto delle strade, attraversato da sguardi e parole dietro ai doppi vetri. Chi parla? La Malvina, La Nerina? ...
Le vecchie signorine dai nomi inusitati, che tramandano storie di famiglia di cui si discute solo a voce bassa e segreti di liquori ottocenteschi - camomilla, scorzette di limone, "menego maistro" e genziana macerati nel moscato... E come non parlare del profumo dei calycanthus che annunciano la fìne dell'inverno dietro i vecchi muri dei giardini signorili? O delle lunghe serate nelle cucine contadine, vicino al "fogolar" a "far filò", e raccontarsi storie, storiacce e storielle, tra un asso di coppe e un due di bastoni. E chi non ricorda le risa soffocate nei cuscini, delle spendide ragazze contadine che lavoravano alla macera dei tabacchi delle Carmen locali : il sabato le ragazze facevano la siesta tutte insieme, nei grandi letti dai materassi di "cartocci" di granturco, stanzoni neri in cui troneggiava F'Armar contadini" (armadio contadino, 1986).
I titoli delle tele di Debiasi dal 1986 ad oggi, snocciolano un rosario ideale in dialetto: "El tabiel" (il tagliere), "L'erpec" (l'erpice), "El compass" (il compasso)... Oggetti ormai quasi tutti fuori uso, scomparsi: ma, come direbbe Mallarmé, il solo fatto di nominarli fa vibrare l'invisibile rete armonica della memoria e li rende alla vita.
Queste icone contadine evocano il mondo di Segantini (la cui madre era di Ala); "La carega" (la sedia) ci fa certo pensare a quella di Van Gogh o a quella di Kossuth ... "Taola con renga" (tavola con aringa) ci ricorda che l'aringa in salamoia, conservata in oscuri barili di legno, era quasi l'unico pesce di mare che si consumasse.
Questo quadro rimanda, per contrapposizione, alle ricche nature morte fiamminghe del Seicento, che illustrano al tempo stesso varietà e vanità delle ricche tavole borghesi. "Taola con renga", ricchezza del poco e splendore del vero, si iscrive nella tradizione delle rappresentazioni monastiche della cena o del cibo, o in quella delle nature morte di Zurbaran. Il silenzio forma la trama segreta, con abili punti e giunture, dei mondi dei quadri del pittore alense: al bianco degli stucchi e al grigio degli specchi appannati dei grandi saloni si sovrappone il nero delle cucine contadine e il nero riempito di ori (doratura "alla foglia" o a pennellate) delle chiese. Emergono le processioni di Ala: quella che il venerdì santo serpeggiava in via Vellutai, preceduta da nugoli di polvere sollevati dal vento (II Venerdì Santo - dicevano i vecchi - "il ciclo piange la morte del Signore").
L'accompagnavano i suoni gloriosi o apocalittici degli ottoni - piatti, trombe, tromboni della Banda di Ala: li ritroviamo nei gialli e negli ori di Debiasi. A giugno, la processione è simbolo di gioia, di sensualità: i petali delle rose rosse ricadono in pioggia di colore sull'oro dell'ostensorio: è la gloria del Corqus Domini.
Passando da un quadro di Debiasi all'altro, percorriamo una geografia della lentezza, ritmata dalle ore senza fine dell'estate: la fionda, fabbricata con una "forca" di rami di nocciuolo e l'elastico di una vecchia camera d'aria, evoca le ore di attesa degli "uccellini", ed è incollata su un quadro, e, vicino, un po' di spago, che esce dal quadro stesso, e dei simboli di scale. "Perché"? "Per poter sfuggire": non si sa a quale realtà o finzione, a quale tranello o a quale tragedia. Fili di Arianna che permettono a tutti i Tesei immaginari di uscire dal Labirinto e, al tempo stesso, ricordo dei veri pozzetti di spago che si trovano, col temperino, in tutte le tasche dei ragazzi... Una serie di tele è consacrata agli animali. Pretesto di sacrificio, "L'Agnello" è messo in scena come il "Bove squartato" di Rembrandt. "Il maiale", solo in un angolo di una oscura cantina, ricorda le figure umane di Bacon. Eppure, in passato, il rito dell'uccisione del maiale implicava una festa di luganeghe, costine, strutto, ciccioli... La "Capra"del quadro è il contrario di un capro espiatorio: simbolo della disobbedianza, dell'insubordinazione, essa occupa dinamicamente la tela. Questi animali sono ritratti come individui: e se sono sacrificati, lo sono con un rapporto alla morte più semplice di quello della messa a morte asettica e nascosta dell'animale nella civiltà delle macchine. Soffermiamoci ancora su due opere: il bianco di una gigantesca cascata, il torrente Ala in piena o il traboccare del subconscio; e "II grande masso: (Forze geologiche)", blocco erratico simbolo di una deriva lontana: "calme bloc icibas chu d'un désastre obscur" (Mallarmé).
Il colore è tutt'altro che assente: applicato con foga nel "II temporale (Campo di grano)" ci evoca il soggetto analogo di Van Gogh. Cielo e terra sono uniti dal "Fuoco di sterpi", accordo di colori appena spremuti dai tubetti e i rossi e i blu incendiano o raffreddano "II campo fiorito" del 1995. Il problema del male tormenta l'opera di Giuseppe Debiasi, male esorcizzato dalla forza della preghiera, o da segni indecifrabili.
Il male è nascosto sotto gli ori di Klimt, nei corpi religiosi e sofferenti di Nitsch, d'Arnulf Rainer nella tragica solitudine di Bacon. La violenza espressionista, più o meno trattenuta appare in temi come " La cacciata dell'angelo". I personaggi sono costruiti a colpi di spatola. Ho chiesto a Debiasi quale sia, in questo momento, il suo artista preferito, senza esitare, mi ha risposto: "Edward Hopper". Nei personaggi del pittore americano la violenza è silenziosa, pesante di conseguenze, in un'immobilità pronta ad esplodere. Ala, violenze e sussurri, grida e serenità, preghiere e parole d'infanzia perduta e voci del presente incrociano le memorie del passato: un unico incontro è possibile, nella pittura.

Ginevra, giugno 1998, Valentina Anker - Presidente dei critici d'Europa.