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'storie di paese' di Luigi Meneghelli.

Così le «Storie di paese» di Giuseppe Debiasi prendono l'avvio dall'idea del costruire, dal principio dell'erigere una architettura «sterminata» alla maniera di Piranesi. Ma già il termine «sterminazione» sta ad indicare una struttura senza limiti e insieme senza compattezze, una pittura che incombe, che sfugge: perciò un doppio modo di intervenire, di abitare la tela, un passaggio da uno stato di gestazione a uno di agitazione, un incessante trasferimento da uno spazio d'attrazione ad uno di distrazione. «La scena è una vertigine», direbbe Borges: e in realtà la scena pittorica di Debiasi presenta infinite agibilità, l'interno è anche l'esterno, il colpo d'ombra è anche il colpo di luce, e questo perché lo scatto del segno non ricuce le fratture, ma anzi le moltiplica, le allarga all'infinito.
(...) Sono più di due anni che Debiasi va svolgendo le sue riflessioni vertiginose su architetture, angoli di casa, cascinali, capitelli, finestre. In essi si può vedere in trasparenzaquel regno della soglia ( quello spazio da passare e, insieme, intransitabile) che sono i 'Portali': solo che qui «ogni immagine è testualmente portata alla frontiera di quanto si può immaginare».
Lo spazio non è più uno, sono molti: un'alternativa di dimore plurime, un luogo incollocabile, in quanto composito, obliquo, pieno. La «sintassi costruttiva» che Debiasi realizza in queste tele «rigurgita di episodi», capovolge i rapporti tra contenuto e contenitore, rovescia le prospettive tra dentro e fuori. È l'uso del segno che genera questa specie di catastrofe (di strage) visiva: un segno che anzichè confinare, sconfina, un segno che «fissa l'assenza di fissità», un segno abbandonato ai suoi slanci, ai suoi giri, ai suoi capricci, un segno che sparge tracce (di scale, di ante, di muri) senza poi interessarsi di ricucire i mille labirinti fatti sorgere. E allora di fronte a tante forme aggrovigliate che si compenetrano e si divorano l'un l'altra (spesso smarrendo la loro stessa identità) viene da pensare che il disegno voglia imporsi, ancora una volta, nella sua genesi, manifestare la sua «energia creatrice», la sua «forza rivelatrice».
Non un procedimento automatico, non un movimento alla cieca, ma un penetrare dentro ciò che già esiste, per farlo sentire, risuonare, echeggiare: qui, là, «everywhere». (...)

1989, Luigi Meneghelli per 'Storie di paese'.